SHINING – il Kubrick più retorico e contemplativo

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Jack Nicholson, scrittore in crisi, per ritrovare l’ispirazione accetta un posto di guardiano durante la stagione invernale in un hotel sulle Montagne Rocciose. Ci va con la famiglia (moglie e bambino di sette anni). Ma il posto è tutt’altro che allegro. Non c’è anima viva e inoltre l’albergo è stato teatro (dieci anni prima) di una tragedia: un uomo sterminò la propria famiglia e si suicidò. Lo scrittore sembra subire il fascino malefico del luogo. Al punto da immedesimarsi nel vecchio massacratore e cercare di ripeterne le gesta ai danni dei suoi, tra cui un figlio ditato di poteri paranormali con i quali cercherà di fronteggiare i demoni invisibili dell’hoverluk hotel. Shining parla di esseri umani e riguarda esseri umani, la sua stilistica si rende in grado proprio di circondare questo nucleo tematico. non c’è nulla al di fuori dell’overlook hotel, come al suo interno non c’è null’altro che umanità: un cosmo saturo e dai confini più che decisi. Confini che si confondono perefettamente con una retorica vacua dell’ambiente, resa ancora più banale dagli interpreti stessi che, condizionati da una sceneggiatura acerba e ridondante, sono costretti a fare i burattini. Le immagini postmoderne ci sono; la scena di shelley Duvall che prende a mazzate la testa di nicholson è da enciclopedia. Ma non regge il resto del film; un opera “contemporanea” e per giunta senza una vera trama o una vera narrazione letterale claustrofobica che non cadi nel retorico; Kubrick non é lineare, soprattutto nella sceneggiatura, acerba e puerile, compensata da un senso registico forbito ma per nulla coerente, volto a rapire la “luccicanza” del pubblico più impressionista e al tempo stesso è un pretesto per riproporre l’avvilente determinismo filosofico di kubrick e un modo per restringere il campo di indagine e di riflessione nei confronti della pellicola. tutto ciò viene esemplificato perfettamente nell’utilizzo delle innovazioni tecniche, atte a rendere ancor piu commestibile il profondo senso vacuo del film; la Steadycam, per esempio, con la quale, Grazie al corpetto, l’operatore (detto steady-man) ha le mani libere per controllare la macchina, ed allo stesso tempo può muoversi liberamente, o addirittura correre, senza che il sistema da lui sorretto riceva vibrazioni od oscillazioni eccessive (essendo collegato al corpetto da un braccio con molle o pistoni a gas – a seconda del modello). Infine, al finale che finisce, tra una fuga e l’altra, tra un’immagine agghiacciante e l’altra, tra una sferzata sonora industriale ed una vorticosa e banale ma calibratissima carrellata per terribili ed opprimenti corridoi ed espedienti visivi come linutile e irrilevante uccisione di dick hallorman, shining trascina all’interno di un viaggio disperato e privo di vie d’uscita, anche narrative. dato che affiancare questi film a precisi oggetti o strutture è funzionale, pratico e quasi automatico, ci si senta liberi di definirlo: un film/labirinto. O se volete, il film più qualunquista di Kubrick.

Voto: 7.5 su 10

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